Nella pratica ambulatoriale mi capita, e non di rado, di sentirmi chiedere di intervenire su un aspetto del volto o del corpo che, a parere della paziente o del paziente, presenta dei difetti da correggere. E, a riprova di quanto chiesto, mi viene presentato un selfie dove, effettivamente, una prospettiva distorta altera i tratti somatici, talune volte anche deformandoli.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di pazienti giovani, avvezzi a fermare l’”attimo” attraverso selfie da consegnare ai social per i fatidici “like” e che non accettano di proporsi con i lineamenti alterati. In questi casi lo specialista può e deve aiutare la/il paziente a capire che il difetto è proprio la conseguenza di un’inquadratura poco efficace e che il riscontro con la realtà mostra ben altro.
Talvolta, l’utilizzo dei filtri restituisce un’immagine che risulta più gradevole, più piacevole rispetto a quella reale e per questo diventa modello da perseguire a tutti costi attraverso l’apporto della medicina o chirurgia estetica. Anche in questo caso bisogna saper proporre un “no” motivato a chi chiede un intervento estetico solo sull’onda di un’immagine e che non trova corrispondenza nell’aspetto generale della paziente o del paziente che abbiamo di fronte a noi. E’ importante aiutare la/il paziente a capire che “la perfezione“ in campo estetico ha un valore relativo. Il concetto di bellezza non risponde a canoni estetici definiti in quanto lo stesso è influenzato da molteplici fattori che mutano in relazione al tempo e al contesto.
Dunque, cosa fare nei casi appena prospettati?
Sicuramente un buon approccio medico-estetico prevede di guidare e accompagnare la/il paziente nella scelta di quei trattamenti estetici congeniali che permettono di valorizzare la persona, ma, soprattutto, la sua unicità, donandole quel “che” di armonioso, presupposto essenziale per la piena e gioiosa accettazione di sé stessi .